Dialogo quasi horror sulla vita segreta delle vagine

Perché, dici,

perché mi guardi strano?

 

Perché?

Dico.

Ti guardo strano?

 

Non so, dici

mi sentivo osservato

ma forse non eri tu

dici

e aggiungi qualcosa

tipo: forse c’è un fantasma nella stanza.

 

Forse dico.

E poi ricominciamo a parlare.

E anche se parliamo, ci sono cose che non ti dico.

Senti, non ti dico,

non devi aver paura

non ci sono spiriti

in questa stanza, ho solo lasciato

che lei ti osservasse

e forse è vero

che ha uno sguardo strano

 

Sai, non ti dico,

con questa roba

ci fanno i film dell’orrore

per via di quelle fantasie,

di certi uomini

terrorizzati

da enormi vagine cannibali

inghiotti piselli

 

Sai, non ti dico,

non devi avere paura di lei

né del suo sguardo

per quanto strano

lei ti guarda di nascosto, è vero

ma non c’entra nulla con i fantasmi e l’horror

manco le piacciono gli horror, dico

è tipa da commedia

impazzisce per le storie d’amore

ed è piuttosto certa

che Woody Allen

Io e Annie,

l’abbia scritto apposta per lei,

ultimamente poi,

non ti dico,

si è convinta,

a proposito di Io e Annie

che  Io sono io

e lei è Annie.

Comunque, non ti dico,

cinema a parte

è vero piuttosto vero

che lei ha uno sguardo strano

io, a me, piacerebbe

che tu potessi vedere

come guarda lei.

Lei, non ti dico,

lei ti guarda da cieca

lei ti guarda annusando

lei ti guarda un po’ bestia

bivalve impellicciata

rosa e nera

lei ti guarda curiosa

lei in verità non ti guarda

lei annusa

lei non ascolta quello che dici

lei ti respira

e vorrei dirti

di stare tranquillo

anche se guarda in quel modo

che sembra attento

non giudica

le vagine

hanno di meglio da fare

e se fanno paura

è solo perché

hanno semplici complicati profondi

occhi pulsanti

cunicoli pieni di sangue

rumorosi

rossi

che conducono al cuore.

 

Senti,

non ti dico,

stai tranquillo,

lasciati guardare

lascia

che lei guardi come

sa fare

con quel suo

elementare

bistrattato

e semplice

sguardo dal basso.


poesie

7 commenti su “Dialogo quasi horror sulla vita segreta delle vagine

  1. Grazie per l’esauriente risposta, Signora…anche se non te lo so spiegare, pure io sento che è giusto così come fai…la sessualità femminile è più complessa e misteriosa, e dunque l’uso di un linguaggio più prezioso le è connaturato in un contesto poetico…
    grazie ancora

  2. Pingback: Signora dei Calzini » Il metro altrui

  3. E’ cambiato il vento e ho trovato la risposta:

    credo, caro smirki,
    che la ragione stia nel fatto che quando parlo di sessualità feminile, parlo di una cosa che è chiaramente ancora un tabù e dunque sento di dover “fare piano”, usare “parole neutre”, evitare il più possibile tutto quello che può essere associato a stereotipi o volgarità.

    Per il sesso maschile, non so, mi pare tutto un po’ più semplice, superato, sotto la luce del sole, mi sento di poter pescare come mi pare fra tutte le parole esistenti, anche se forse mi sbaglio…

    Detto questo, credo che parole grevi e anche volgari a volte siano molto efficaci e espressive… è del tutto possibile che in futuro io possa utilizzarle e, anzi, a dire il vero, ho già usato la parola “fica” in una poesia che sta nel mio libro, che spesso leggo durante i reading e che ora pubblico anche qua…

  4. uhm…the answer is blowing in the wind? :- )
    ehehehe…scherzo, mi andava di scrivere un’innocua cavolata :- )

  5. …già… non ci avevo fatto caso… quindi non ho una risposta… o meglio c’è… ma ci devo pensare un po’ per darla, perchè la intuisco e basta. Hai un debito di risposta, segna… come diceva mia nonna”ogbi promessa è un debito”!

  6. questa impressione che “lei” abbia un suo sguardo è molto intensa e ha molto di vero poetico in sè…
    una domanda impertinente: come mai i “ca…” li chiami “ca…” e invece le “va…” non le chiami, che so, “fi…”? : – ) Forse c’è un grado di volgarità, oppure di ordinarietà, differente nei due termini?
    Sia come sia, questa poesia è molto bella : – )

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