Il naso e le braccia tagliuzzate che però sono una storia sola.

Sono andata alla mostra. C’erano poche persone nello spazio della mostra, così li ho notati subito appena arrivati perché la madre si è messa a parlare forte, più forte di quel sacrosanto modo educato che si usa per parlare alle mostre – sacrosanto che in effetti ci vuole concentrazione alle mostre per vedere e leggere le cose che scrivono sui muri. Così il tono di voce della madre, troppo alto, mi ha distratta. Ho girato la faccia per vedere da dove veniva quel parlare e li ho visti. Lì per lì non mi sono accorta di nulla, erano troppo lontani, ero troppo concentrata sul mio essere infastidita e avevo fretta di riprendere a leggere ciò che stavo leggendo e guardare ciò che stavo guardando con tutte quelle connessioni mentali veloci e molto piacevoli che ti vengono quando percorri i percorsi delle mostre.
E’ stato dopo. Quando la ragazzina mi è passata davanti.
E poi il padre. E poi la madre, accoppiati.
E’ stato lì che mi sono accorta dei nasi.
Sfilandomi accanto, l’una dopo l’uno dopo l’altra, mi è proprio – come si dice con quell’espressione un po’ abusata (abusata come è anche l’espressione “espressione abusata”, a dirla tutta)- “balzata agli occhi” la questione dei nasi e di come la somma di quei due nasi avesse prodotto quell’altro che stava sulla faccia di lei, la ragazzina: candido, grosso e con quella gioventù epidermica a lasciar presagire che durerà ancora parecchi anni a venire, quel naso, su quella faccia. E ho iniziato lì a non riuscire a non pensare a quel naso, cercando di non farmi accorgere del mio insistente guardare, ma eppure guardando, passando con l’occhio velocemente dal naso della madre a quello del padre a quello di lei, bionda creatura dal grosso naso.
Guardavo e confrontavo e pensavo che il suo naso, quel voluminoso pezzo di carne sulla sua faccia, era la perfetta sovrapposizione di quei due nasi maggiori e più anziani, dei genitori, due individui con un grosso naso, unitisi in carnale accoppiamento per produrre una ragazza anch’essa dal grosso naso ricalcante – e qui stava la sua attrazione per me – entrambe le forme degli altri due un po’ disgraziati nasi, per grandezza e per leggera stortura, prendendo di entrambi la grossa dimensione e la forma. Una imperfettissima unione di nasi perfettamente riuscita a causa dell’unione del dna di due differenti individui con gene-nasogrosso, nessuno dei due recessivo, entrambi violenti nell’esprimersi sulla faccia di quella creatura.
Ma esisteva, mi domandavo, nel corredo genetico di quei due, qualche altro gene correttivo, diversificante ma recessivo (e allora la sfortuna!) o proprio la ragazza era destinata da soli geni-nasogrosso ad avere comunque quel naso (e altrettanto, allora, la sfortuna!)? E benché non sia affatto sicura che la questione geni funzioni così come la sto esponendo, ragionavo su questa cosa. E me la figuravo, la ragazza, allo specchio, ad ogni immagine di sé riflessa soccombere all’evidenza di quel naso che gridava l’unione di madre e padre. Ma forse, mi dicevo, lei non lo noterà. Lei vedrà sé stessa – sì, magari vedendosi con un grosso naso – ma la sua visione sarà scevra dall’ossessione – tutta mia – dell’origine di quel naso, dalla considerazione di come l’approdo di quel naso su quella faccia sia ineluttabilmente connessa a quegli altri due nasi, madre e padre, perfettamente in lei sovrapposti, uniti, riconoscibili: la piccola curvatura superiore del naso di lui, la punta vertiginosamente piccola del naso di lei, la grandezza di entrambi. O forse lo vedrà, ma non penserà, come me, a questo come una condanna, uno stigma di creatura costretta dalla natura a portarsi sulla faccia l’unione di quel padre e di quella madre. E se li detesta? Pensavo. Ma poi, vedendo l’armonia che pure regnava in quel trittico di famiglia, ripensavo: E quando moriranno? Non vedrà sulla sua faccia, giorno dopo giorno, il ricordo di giorni felici, di persone che l’hanno amata, creata e cresciuta? Ma anche nel presente non avrà, questa creatura, il diritto di dimenticarsi di loro, ogni tanto, di non pensare a da dove viene e da chi?
E poi mi sgridavo da me e mi dicevo, ma perché la fai tanto lunga, non è poi diverso per lei che per un sacco di altra gente che assomiglia ai genitori, te compresa. E pensavo ai miei occhi, chiaramente richiamo del colore degli occhi di mia madre e della forma di mio padre. Non pensi ai tuoi genitori ogni volta che ti guardi gli occhi, mi dicevo, continuando a cercare i nasi nello spazio-mostra. Sì, ma poi pensavo, però è diverso. In me, ad esempio, il colore degli occhi di mia madre ha virato verso altro colore, una sfumatura simile, ma differente e la forma di mio padre ha comunque subito una qualche mutazione. In lei le forme sono rimaste identiche e sovrapposte, come se qualcosa di artificiale fosse intervenuto in quella generazione, qualcosa come una duplicazione o una clonazione. E per quanto mi rendessi perfettamente conto dell’assurdità e dell’esagerazione di questo mio ragionamento non sono riuscita a smettere di ragionarlo fino a quando sono uscita dalla mostra e quei nasi sono usciti dal mio campo visivo.
Tornando a casa ho incrociato un ragazzino.
Andava in giro con un’aria normale, da ragazzino in abiti larghi che va in giro con l’aria normale di un ragazzino con gli abiti larghi, ma al contempo aveva qualcosa di strano. Così l’ho guardato meglio mentre mi passava accanto e ho visto che aveva le braccia tutte tagliuzzate di fresco e il sangue che colava e appena mi ha superata ho sentito con il naso proprio l’odore ferroso del sangue. La mia bocca si è un po’ spalancata, mi sono voltata a guardare e mi son detta ma che faccio, ma sta male, ma perché va in giro questo ragazzino con le braccia tagliuzzate – non da tagli profondi, va bene, parevano molto superficiali, ma comunque -?.
Lui nel frattempo ha proseguito in avanti, oltre me, ha svoltato in altra via e non mi è parso il caso di farmi i fatti suoi, anche se forse avrei dovuto.
Mi sono piuttosto detta che questo era un pomeriggio che mi pareva tutto un po’ strano. Che era meglio se me ne andavo a casa, va’.
E così ho fatto.
Sono tornata a casa un po’ stranita. Stranita e con una storia che avevo voglia di raccontare, ma una storia senza mica troppo senso, mi dicevo. Hai una storia, ma senza mica senso, mi dicevo, cosa la racconti a fare? E poi mi dicevo va be’, cosa c’è di strano, il senso non si trova sempre. Non si può sempre dare senso a tutto. Sarà una storia, allora, sul non trovare un senso a una storia. E non mi convincevo, ma poi scrivevo. Scrivevo la storia dei due ragazzini che però per me erano una storia sola.


micronarrazioni

2 commenti su “Il naso e le braccia tagliuzzate che però sono una storia sola.

  1. ho conosciuto le tue poesie in uno spettacolo di Roberto Mercadini, lette da lui stesso e mi sono piaciute tantissimo, anche se io amo leggere la prosa piuttosto che poesie. Ed eccomi qui sul tuo blog dove si leggono pezzi originalissimi e molto molto belli! Complimenti

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