Che hai mangiato oggi?

Ma perché iniziamo le nostre conversazioni con la formula del “Come stai?”.
Non c’è domanda più difficile, generica, impossibile, generatrice di silenzi e conversazioni mosce.
Come sto? Dentro o fuori? Psicologicamente, di salute o che altro? Come sto ora? Come sto in generale? Posso includere piccoli mali in un periodo buono? Come faccio a esprimere la medietà dei periodi medi? Abbastanza bene? Dai, bene… Ma sì.
Come volete che continui una conversazione iniziata così?
Io mi accorgo che rispondo spesso: stanca, ma bene. E mi gioco così, con una stupida parola il mio bonus di “quantità di noia procapite quotidiana che si può infliggere al prossimo tuo”. Che gliene frega agli altri della mia stanchezza? Perché la esco così?
Perché a domanda noiosa si salvi chi può. E spesso non ci si salva, almeno io, si affonda.
Tipo quando si entra nella spirale della ripetizione:
Come stai?
Ma sì, bene dai.
E tu?
Bene, bene.
Bene allora…
E’ da un po’ che non ci si vede…
Eh sì…
Allora tutto bene?
In un vortice di beni a caso.
Già con gli amici più cari ti ci va almeno mezz’ora di conversazione per restituire la complessità del “come stai”! E noi pretendiamo che uno ti risponda così, con una formula breve, su due piedi, magari con qualcuno che vedi una volta ogni tanto.
Ma perché?
Pensate quali migliori possibilità offrono domande più semplici, tipo:
Che hai mangiato oggi?
Roba semplice.
Che hai mangiato oggi?
Una zuppa triste perché ho esagerato con gli arrosticini e il fritto di pesce e il vino e…, ma poi ho fatto vari spuntini immaginari con: cioccolatini, pizzette, paninetti al prosciutto…
Per dire un argomento a caso, eh. Per dire.
Comunque il mio regime alimentare va benissimo e il mio corpo non protesta affatto.

Come stai?
Ho voglia di qualcosa di buono.


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