E poi non so

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Questi discorsi, ad esempio (ed è solo un esempio) sulle ragazze, questo modo di dar loro addosso, che è dilagato, che sento per strada, mentre faccio la coda a uno sportello, che leggo, che leggo qui. Questo modo di parlarsi l’un l’altro, questa vomitata collettiva infetta (come quella a cui ho assistito sui social a proposito di Charlie, ad esempio), questo sintomo di uno star male collettivo, questa ciste, l’ennesima, di un corpo collettivo così malsano, questa banalità del male, mi getta nel terrore e nello sconforto. C’è una frase, stranota, di Susan Sontag che ho incrociato anni fa quando scrivevo la tesi e mi rimbalza in testa da settimane: “La nostra è effettivamente un’epoca di estremismi. Viviamo infatti sotto la minaccia continua di due prospettive egualmente spaventose, anche se apparentemente opposte: la banalità ininterrotta e un terrore inconcepibile».
Mi guardo allo specchio e osservo le mie schifezze, il mio essere parte di questo male, mi cerco addosso gli anticorpi, la parte di me che sa “cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno e farlo durare e dargli spazio”.
E poi non so.
Buona domenica.


e altre cianfrusaglie

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