Poenuove

Da qualche tempo, a partire dal progetto Inpoetica, sto vivendo alcune esperienze che mi portano ad ascoltare le storie degli altri e a riscriverne dei pezzetti in versi. Questo un testo che ho scritto per il Campus Omodeo, in Sardegna, a partire dal racconto di Sebastiano, un bimbo che mi ha raccontato di come fa il pane con la nonna e di quella volta che ha vinto a basket.

La trovate qui, accompagnata dalla stupenda illustrazione di Riccardo Atzeni.

Sebastiano mi racconta che fa il pane

Sebastiano impara
nel pane la radice
di tanto in tanto – mi dice
bisogna lavarsi con l’acqua le mani
poi corre e lancia forte il pallone

Ed è così che farà
per tracciarsi la via
aggrapparsi a qualcosa nel profondo
da qualcosa correre via

Poesia del giorno che nasce Ada

Qualche volta penso ai bambini

la bambina che ero

mia madre e i suoi bambini di scuola

e mia sorella

quand’era piccola

ed era un concetto difficile da digerire

per una bambina come me

e penso a come sono stata una bambina

a cui non piaceva disegnare

una bambina seria.

Se potessi tornare indietro sarei meno seria

e farei più disegni

disegni sproporzionati

e colorati

e molto molto ingenui

e li regalerei.

 

Quando mi innamoro di un uomo

penso che faremo dei bambini

immagino cucine colorate

e caotiche

a volte mi spavento

e penso che non ce la farò

che le madri buone son diverse da me

e io diversa da loro

poi penso che le madri son diverse

in generale

e i bambini diversi

anche loro in generale

anche se si vorrebbero tutti uguali

per dire “così sono i bambini”

per fare categorie

che agli uomini

le categorie

li rassicurano.

 

Poi penso che le cose vive

sfuggono sempre alle categorie

che seppur categorizzabile

io son diversa da chiunque altro

e anche il mio bambino o bambina

sarà diverso

diversa

e suo padre diverso

e diverso il fratello o sorella

che non è bello lasciare un bambino sprovvisto

di fratelli o sorelle

almeno uno glielo devi dare

che sennò con chi confligge?

Gli devi dare un fratello o sorella come segnale di stop

di divieto di sosta

come segnale di allerta

che impari

presto

infretta

che quel che ami lo odi anche

che quel che ti dà amore ti affatica

che il fatto di non essere soli

a questo mondo

è insieme la buona

e la cattiva notizia.

 

Mi hanno regalato un calzino

di un bambino che non c’è più.

Sua madre mi ha detto

“questo è il calzino di cui si è

perso il bambino”

è una bella cosa da dire

se sei una madre che aveva un bambino

e ora non lo ha più

è una cosa bella da regalare

a una come me

attualmente sprovvista di bambino

e ancora molto incinta di se stessa.

Io questo calzino di cui si è perso il bambino

lo porto in giro

perchè a questo mondo si perde

ma si trova anche

e a questo calzino gli ho dato questo compito

di essere un calzino che mi fa trovare

quando perdo.

 

Così oggi perdo il filo e penso ai bambini

in questo giorno che è nata una bambina

una bambina di nome Ada

e questa poesia è tutta per lei.

Anzi questa non è una poesia

è una sfilza di parole

sarebbe bello che lei potesse farsene qualcosa

è piuttosto bello in effetti

se qualcuno scrive una poesia 

o anche solo una sfilza di parole

quando nasci tu.

A me sarebbe piaciuto insomma.

Poi c’è chi dice che mettere al mondo figli

in questo mondo

è una porcheria

io no

non ho mai avuto idee tanto rivoluzionarie

forse perchè sono stata una bambina seria

chissà

ma penso, cara Ada,

che tu te ne devi fregare di chi dice così

che hai già tutte le tue fatiche di essere appena

venuta al mondo

e se ti viene da piangere

al pensiero di ciò che ti appena successo

fallo pure

noi tutti ti si capisce

però appena ti riesce 

impara a ridere

ti serve come alternativa,

che è piuttosto utile alternare:

il trovare al perdere

la felicità all’infelicità

l’ordine al disordine

l’amare all’odiare

la veglia al sonno

la lotta alla quiete

perfino il vivere al morire,

anche se è un’alternanza complessa

e ora non ne voglio parlare.

Secondo me fai bene

se ti fai un bel pieno di tutti questi opposti

e li usi a piacere

come coi colori

nei disegni che farai.

Poi volevo anche dirti dell’amore, Ada,

che è una faccenda da grandi

ma si inizia da piccoli:

se ti riesce

finchè sei piccola

prendine più che puoi

succhialo nel latte

fattici insaponare

reclamalo

prendi tutto l’amore che puoi,

è come un gioco,

prima lo prendi 

poi lo restituisci

poi qualcuno te ne dà altro

poi ci sono gli scambi

che è la parte migliore del gioco

certo si può perdere

ma è un gioco che non si smette mai

è un gioco per cui

quella frase odiosa

che qualcuno, aspettatelo, prima o poi ti dirà,

quella frase “un bel gioco dura poco”

per questo gioco qui non vale:

non male l’idea, no?

E’ un’idea, questa,

per cui se ci pensi

secondo me puoi smettere un po’

di piangere

e farti un riposino

in questa giornata faticosa in cui nasci.

 

Io son felice per te

sarà banale

ma io me la sento di dirti la mia:

a me sto mondo mi affatica ma mi diverte

e spero che ti divertirai anche tu

parecchio.

 

Se un giorno ti va

ho comprato degli acquerelli

sarebbe bello

disegnare insieme

riempiamo i fogli di colori

facciamo case piccole 

uomini enormi

cani viola

fiori.

Facciamo i disegni dei bambini

e ne andiamo fiere

facciamo merenda

magari ci mettiamo il rossetto

e ci diciamo

con coraggio

e malizia

e civetteria

che quel che sarà

sarà.

 

 

Questa poesia, oltre che a Ada,

è dedicata a Marilena

e a al suo bambino.

Pance e punti interrogativi

Nulla, questa settimana ci sono faccende di pance in aria. Due amiche mi annunciano la loro maternità, un’altra, già madre, mi scrive messaggi di maternità, amicizia e pura follia femminile.

Un mio egregio professore dell’università disse un giorno la seguente frase “ogni donna ha un figlio nella testa”.

Professore, lei ha ragione, ma forse non nella testa, quanto nelle viscere. E non tanto un figlio, quanto un piccolo punto interrogativo che ti porti dentro la pancia da quando sei piccola e ti danno le bambole per giocarci. A me le bambole non piacevano un granchè e mi imbarazzano i modi in cui le femmine a volte parlano dei cuccioli umani, almeno quanto mi imbarazzano le cartoline con i cuccioli di cane, magari vestiti da bambini, con gli occhiali da sole et similia.

Però il punto interrogativo c’è. E a volte si muove.

E non c’è mica tanto da discutere con la biologia.

Al massimo ci si scrivono poesie.

Come quella del post accanto.

Dedicata a me, alle mie amiche e ai loro punti interrogativi: viventi, crescenti, immaginari, nascosti.

Neve rosa

 

 

Chissà di che colore

saranno i miei bambini?

Chissà di che peso

leggeri fogli di carta

bambini spiegazzati

bambini bifronti

meticci

faccia mia + faccia altrui

di quante parti di estraneità sarete composti?

Resisterà il vostro cuore

ad una madre così confusa

che non stira

che non spolvera

i pensieri, li lascia così

che si depositino

e vede

neve

sui mobili

e tutti a dire:

noooo, quella è polvere, è polvere

e io non-madre

a dire:

sì sì è polvere

la leverò

ma mi piange mi piange mi

piange il cuore

perché vedo neve e la

voglio lì

sulla credenza,

mentre fuori imperversa agosto,

con le sue tempeste di luce nitida,

io vorrei la mia neve sul mobile.

.

Saprò,

bambini,

per questa neve

– che ora qui mi costringo

in questa manciata d’anni

a vedere come

polvere

da levare –

saprò vedere

le vostre nevicate candide

e non stritolarvi

il cuore,

così rossa saprò

reggere

quando arriverete

e resistere

quando partirete?

.

Di che colore

saranno i miei bambini?

…color sangue e polvere

color neve.