Così sei tornato
a casa e hai scritto
quella poesia.
C’era un bicchiere di
latte
sul tavolo: hai bevuto?
Eri solo.
C‘era lei con
te.
Eri solo?
Non c’era nessuna
lei?
.
Il possesso è un fatto che si dipana nel tempo o forse solo questione di momenti
.
Ora per esempio
vorrei sapere:
il taccuino lo avevi con
te?
Lo hai aperto
e di due righe
ne hai fatte sedici.
No.
No.
C’era una storia
nella tua testa.
Ci pensavi da interi
pomeriggi.
Era sera?
Era mezza sera.
.
Ti sei fatto da sempre molte seghe. Ti sei fatto una sega quel giorno?
.
Prima di accendere il
computer
tu sei venuto.
Le mani
non le hai nemmeno
lavate
no
volevi scrivere di quella
storia.
Avevi cenato
la sera prima.
Minestrina?
Poca sostanza per
la poesia.
Ma forse ti piaceva
essere
così magro.
.
A quel tempo io non ero che un’età ridicola, un callo d’inchiostro sul mio medio.
.
Niente birra
non ancora
molto té.
Era té,
non latte.
Quel giorno
in quel periodo
ti capitava spesso
di rompere bicchieri?
Il gatto, ti lasciavi
graffiare dal gatto?
C’era qualcuno che ti
rimproverava?
Hai raccolto i cocci.
Lei cucinava per te?
Sapevi amare?
.
Forse l’hai scoperto dopo il modo particolare in cui ami. È stata questione di molto tempo? Mi ami?
.
Era tempo di
Mondiali.
Tu avevi una maglia blu,
anzi l’avevo io.
Io vorrei sapere tutto.
Il giorno prima
Il giorno dopo
Forse scrivevi sentendoti solo
scrivevi e
non ti andava
di far sapere.
Eri infelice.
E Bukowski?
L’avevi già scoperto?
Avevi già scopato?
Vorrei sapere tutto.
Tu, di quel giorno.
E ogni altro che
c’è stato.
A che ora sei nato
tu?
.
Il possesso è un fatto che si può disciplinare, una forma d’igiene o di pudore o solo il bisogno che il gusto in bocca faccia il suo corso.
.
Se deve finire
che finisca.
Il gusto dolce
profumato
tu
non credo di potermi
dimenticare.
Ti piace la sacher.
Ti piaceva già? Dimmi.
Non dire.
Nulla, per davvero.
.
Mi ricorderò di versarti un bicchiere di latte, appena ti vedo, invece di fare domande
.
Farò questo per te.
.
Tu non fare nulla. Magari amami. Oppure meglio. Fai quello che vuoi.
Io avrei lasciato “taqquino”…ormai era nata così la poesia 🙂 era più bello…
Ragazzi, che svista pazzesca! Questo denota tutto il mio stato mentale attuale! Lo coreggo subito…. Però non bacchettatemi così, suvvia…
mi piace molto “taqquino”, cos’è un tacchino spagnolo?
Sant’Agostino…
ma per favore
Devo ammettere che stavolta anche un “Commentatore dei calzini” come me si è trovato in difficoltà…ma la cosa bella è che, nonostante questa composizione sia così intimista e tua personale, mi ha trasmesso comunque cose profonde…e la cosa buffa è che mi ha fatto venire in mente Sant’Agostino…sì, strano, proprio strano, in un testo in cui si parla anche di seghe e di scopare…ma forse è proprio qui, in questo contrasto, che c’è un primo riferimento al filosofo medievale, riflesso poi anche nel titolo e nella frase finale soprattutto: “ama e poi fai quel che vuoi” è uno dei più famosi aforismi di Sant’Agostino, e lo stesso senso di libertà che mi ha sempre suscitato questa bellissima frase l’ho ritrovato nel tuo scritto…un’altra cosa che rimanda ad Agostino è il tuo stupore di fronte al tempo, che poi è un po’ uno dei tuoi temi ricorrenti…in questo, come scrissi già, sei sempre anche molto Kubrickiana, nel senso di quella scena finale di “2001: Odisssea…”….notevole anche come sai sferzare la lettura con quelle frustate di erotismo, esaltato proprio dal modo in cui apparentemente banalizzi quella dimensione…insomma, non so se son stato chiaro, ad ogni modo, per uno che aveva pocco da dire, tutto sommato non c’è male 🙂