panta rei della buona notte

la notte mi trova così
attenta
silenziosa
tutto quel rumore fuori

il limite del corpo
il limite dei muri
gli spazi estesi
l’oltre

la stanza sussurra
sei
sei stata
tutto sarà

Pollicino, di domenica

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Dna dei giorni

La vita s’avvita
non so se sale o scende
qualcosa torna
molto se ne va

Niente contro le classifiche, ma io non

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Impoetica

Della poesia mi interessa
ciò che è dentro le poesie
l’intorno
in larga parte
gran rottura di coglioni

Leggere

Mi piace quando il mondo parla
nelle parole dei libri
il linguaggio delle vite degli altri
e della mia insieme
mi fa sentire come il ramo del glicine
intrecciato al ramo grande
qualcosa che del basso sale
radicato e costante
conosce le stagioni
gli inverni
e le fioriture viola
che fanno ombra
e il buon odore
di certa bellezza

Canto per i canti

Per i passi lungo il fiume
per la luce del mattino
per i muri vecchi
per le cose andate storte
per ciò che è memorabile
e per ogni secondo dimenticato
la bellezza delle parole

che i colpi
gli abbracci
la noia
il nascondino
che ogni cosa abbia una canzone

che si raccontino
i giorni
la fame
le lotte
gli abiti luccicanti
la perversione

versi e poesie
per le cipolle e le patate
per la lista della spesa
per ogni forma d’amore
e di vanità
per lo sconosciuto dagli occhi neri

che di tutto questo tutto
si faccia un canto vasto e infinito
che si celebri
che si dica
frasi per chi siamo e chi eravamo
per chi verrà a rompere
il silenzio grande
con le piccole potenti voci

la lunga canzone del mondo
parole dentro le parole
la storia delle storie
il suono per guadare il mistero

Piccola storia di una lumachina

Prima c’è stata la casa madre
stanze grandi e grande amore
poi la casa del primo amore
piccole stanze corpi e parole
poi c’era la casa
ma s’era perso l’amore
e venne fuori che prima
ci eravamo persi noi
poi c’erano case e strade e scoperte
tetti, stanze strette e camini
e c’era il farsi grande
il farsi tetto, stanze e cammino
e anche l’amore avevo imparato
che ovunque andavo
lo portavo con me

Piccola invettiva pacata con rime che si baciano per protesta

Se in una poesia scrivo “io”
“io” non è più mio
è un io strumento, lirico
un io in bilico fra me e voi
un io condiviso – un io-noi
sono certa di offrire un servizio di io-sharing
io, di altri “io”, cliente
basta con questa storia inconsistente
parlare di sé non è parlare di niente

Ai bambini dei miei amici

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Autoritratto dandosi del lei con piccola imperfezione

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Come si vede bene da qui

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Dove cede il passo
dove si sgrana il contorno
la luce si oscura
lì, il punto dove sostare
vicini molto vicini a sé
abbracciati alla propria natura
nido
germoglio
creatura

L’importanza della sintesi

è che sai
a volte prende in pancia
questo umore d’autunno
una frenesia di chissà che
chiudersi la sera alle spalle
cercare muri vecchi
un luogo luminoso e conosciuto
darsi al vino alla gente
in culo alla morte
seguire il corpo
senza troppo capire
fare come fosse facile

insomma

stasera ti cerco
e facciamo l’amore

Ossessione in “e” (scioglingua per indecisi con storia d’amore travagliata in sottofondo)

Ma se
nel perdere o cercare o essere con te
in mezzo nell’onda pastoia di voci la voce il suono di te
le stanze la luce la traccia di te
distrarsi da te
dal corpo che tocca che sa di te
sa il corpo, sa i piedi le spalle, la forma di te
la spesa gli oggetti notizie domande di te
vomitare di te
l’indolenza la noia l’insopportazione di te
i difetti le liti la notte la rabbia per te
la rabbia che ingrossa la rabbia d’amore l’amore per te
il giorno il lavoro l’assenza il pensiero costante di te
che torce la notte la voglia di perdere te
disfarsi del peso di te
sgravarmi sgravare rifare
essere me
guardare chi resta guardarsi guardare me
parlare da sola parlare in silenzio con me
rompersi un dente
la voglia di te
lo spazio sospeso
ci prendiamo un caffè?
chiedersi se
se me se te
che c’è
farla finita
addesso
basta

(e poi tutto da capo:)

Ma se…

Piccolo pellegrinaggio da fare per salvarsi la vita da sole (con importanti promemoria per la spesa e la vita casalinga)

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Anche quando pensi e sai che la sofferenza
è un’ipotesi di saggezza
viene il giorno che tutto questo
non ti sta affatto bene
maledici il mondo batti i piedi
te ne vai per strada brontolando
riempiendo la tua fiaschetta immaginaria di
veleno
come uno che sa che la sofferenza
è un’ipotesi di saggezza
non sapendo che fartene di tutto questo
ma in fondo sì.

Una poesia tradotta in inglese

Su THE NORVICHRADICAL trovate una mia poesia tradotta in Inglese.

Non vi dico quale, dovete capirlo  voi medesimi.

Per quanto mi riguarda è ben strano leggersi in un’altra lingua, ma anche un po’ bello.

 

Bisogna saper scegliere

Cercare di spiegare a me stessa
cose che non ho capito
il dito indice alzato, l’aria competente
“è così così e così
e quindi, è chiaro, devi fare così”
mettere occhiali
darsi aria professorale
alzarsi presto

pensare di nascosto
sotto il banco:
la verità è che non ho capito bene
non so
non ho fatto, forse, ciò che dovrei
non so cosa fare

ma soprattutto la voglia
di dare il cattivo esempio a me stessa
essere la peggiore
nascondere lo zaino dietro il cespuglio
fare fuga
correre via

Analgesico ideale

Se ci fosse una leva da tirare un numero da comporre un pronto intervento per chiedere insomma se si potesse vorrei sparire dal luogo che è qui stare altrove assente in pausa senza spiegazioni senza bisogni senza interruzione stare fino alla fine del dolore la sua scomparsa assorbimento fuoriuscita consumazione exit fuori via di qua vada dove deve andare ritorno a casa sua sciò totale tutto stop non ce n’è più finito tutto il male basta

Poi, ma solo poi, ricomparire semplicemente dire Sono tornata, eccomi

E nessuno che sentisse il bisogno di fare un commento idiota, al massimo un affettuoso, semplice Ma ciao

Venuzze (Epitaffio per la superficie del mio corpo)

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EPITAFFIO per un’ora passata a cazzeggiare davanti al pc

Passata a non fare
a essere ma male
(tra)passata inutilmente
immemorabile
immemorata

dimenticata

La colazione a letto

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10 modi per assassinare una donna senza ucciderla

Uno, non volerla morta
è stupido volerla morta
una cucina
una lavatrice
una culla
un aspirapolvere, uno straccio per la polvere
un farmaco
un oggetto con molti buchi, bella
un peluches
non si vuole morta una cosa utile
si usa

Due uccidi, sì, ma il tempo
uccidile il tempo per il pensiero
non dare valore al suo tempo
dilatalo e restringilo
sottrai il controllo del tempo
fa che viva per gli altri
lo deve donare

Tre, la paura, fa che abbia paura
descrivile la sua propria paura, dalle forma
che abbia paura di aver paura

Quattro, uccidile lo spazio
stringilo
definisci il suo spazio
definisci ovunque dove non può stare
restringi i suoi passi

Cinque, definisci il suo corpo
definisci vergognoso il sangue
ammutolisci i suoi orifizi
parla al posto loro

Sei, definisci la sua stupidità
definiscila stupida in quanto tale
definisci femminile = stupidità
allontana le parole parlate o scritte
definisci stupide le sue parole

Sette, isola
fa che sia
sola,
che, sola,
abbia paura
di essere sola

Otto, ingravida la giovinezza
umilia la vecchiaia
uccidi la donna ma non la madre
sposa la madre, stupra la donna
fa che odi la donna nell’altra donna

Nove, deve dipendere
fa che impari a dipendere
fa che dica alla figlia
che anche la figlia impari

Dieci, anche picchiando
sbattendo
ruotandole la testa
moltiplicando gli spigoli
i denti, cercando lo scricchiolio dell’osso
rompendo ma soprattutto nella mente
vinci la resistenza manovra
il meccanismo maldestro del cuore

 

Questa la poesia che ho scritto per Liscio Assassino (libro che, fra l’altro, presenteremo insieme alla Banda Putiferio giovedì 28 Maggio alle 21 alla Libreria Trebisonda di Torino).

Mi pare, purtroppo, in linea con i tempi…

SERIE BAMBINA o IL MONDO E’ MIO

PROCLAMA DELLA GENTILEZZA

Quando sarò capo del mondo
si dovrà essere gentili
la forza o la rabbia, ovvio, non si farà
certo a meno
della spinta
dello scontro
ma essere scortesi no
sarà reato

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Il giorno dopo ‪il Salone del libro di Torino‬ andando a capo

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Epitaffio per lessico familiare tecnologico

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Domenica a mezzogiorno

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Epitaffio per la mia password dimenticata (con finale in cattiveria involontaria)

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