Le parole difficili

Mi sono imbattuta su Amazon nella recensione che qualcuno ha lasciato sul libro Io, Alice e il buio buio. Ne estrapolo il pezzettino che mi ha colpita: “Si tratta di un regalo per due bimbi di 5 anni. Ho letto la storia e tranne un paio di parole difficili, tutto il resto è facilmente comprensibile”.
Ecco, questa cosa delle parole difficili mi colpisce sempre. Fermo il fatto che è chiaro che una narrazione per bambini deve essere per loro comprensibile (giuro che non sto facendo polemica sulla recensione, anzi, è proprio una riflessione, questa, mia), io vorrei spezzare una lancia a favore delle “parole difficili”. Per me, l’inciampo in parole che non conoscevo, nella lettura, soprattutto da bambina, è stato un mondo di fascinazione. Me lo ricordo molto bene. Essere ammaliata del suono, dalla forma non familiare della parola, rigirarsi il vocabolo nella testa e immaginare i significati possibili. Cercare di desumere il cosa vuol dire dal testo, senza chiedere a nessuno, rotolarmi nell’alone di una parola. A me piaceva da pazzi. E mi piace tuttora
Sono strana io?
Forse.
Però non sapere è il preludio necessario al sapere. Se non si incontrano mai parole difficili, come si fa a farle proprie? Se non si impara (e non si insegna) ad amare la propria non conoscenza come possibilità di scoperta, come si fa a procedere nel conoscere?
Secondo me parole difficili, qua e là, sono pepite d’oro per i bambini e non solo.
Guardo il mio minuscolo figlio, penso a tutte le cose che non sa e pregusto il piacere di accompagnarlo in questa scoperta. Aprire con lui una parola che non conosce e mostrargli cosa c’è dentro: io non vedo l’ora. Gli auguro una vita disseminata di parole difficili. Sbaglio?


e altre cianfrusaglie, libri

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